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Gli operatori sottoutilizzano le frequenze 5G, BAI pronta a investire fino a 500 milioni, puntando su micro antenne

13 April 2023
Roma

Gli operatori di tlc stanno «sotto utilizzando le frequenze 5G» e quindi l’Italia si trova in «serio ritardo» rispetto agli altri Paesi. E’ l’opinione di Luca Luciani, ceo di Bai Communications Italia, con una pluriennale esperienza nel mondo tlc. La soluzione passa per l’opportuna canalizzazione delle risorse rese disponibili dal Pnrr, «oltre a favorire gli investimenti privati delle TowerCo, o a quelli dei nuovi player focalizzati sulla densificazione come Bai», spiega a DigitEconomy.24, report del Sole 24 Ore Radiocor e Digit’Ed, nuovo gruppo attivo nella formazione e nel digital learning.

Bai Communications, che in Italia si pone come concorrente di Inwit e Cellnex e punta sull’uso della small cell, cioè delle piccole antenne piuttosto delle macro, è pronto a investire 500 milioni in 5 anni, a partire da progetti come quello annunciato con il Comune di Roma da quasi 100 milioni di euro che ha l’obiettivo di coprire la Capitale con 5G e Wi-fi neutrale ad alta densità entro il 2026.

Quali sono i maggiori colli di bottiglia per lo sviluppo delle applicazioni 5G in Italia?

Il primo problema riguarda il settore delle tlc che, a causa della competizione che ha fatto abbassare i prezzi, ha un Arpu (ricavo medio per cliente, ndr) sotto o attorno ai 10 euro ed è diventato un mercato che non cresce più. Purtroppo, la situazione macro ha ripercussioni pesanti sulla capacità di innovare del Paese. Tim, Vodafone e WindTre cercano di ottimizzare l’allocazione delle risorse limitate che ostacola gli investimenti in opportunità tecnologiche. Alla sofferenza del settore, si è aggiunta l’aggravante costituita dal maxi esborso degli operatori per le frequenze 5G. Di conseguenza, le telco che hanno le frequenze le stanno sotto utilizzando, cercano di spostare in avanti gli investimenti di densificazione necessari per le nuove infrastrutture. L’Italia è, quindi, in serio ritardo rispetto ai Paesi nordeuropei o agli Stati Uniti. Inoltre, a differenza di Francia o Germania, dove sono state liberalizzate frequenze dedicate all’ industria per abilitare le funzioni d’uso tipo l’automazione delle fabbriche, nel nostro Paese ciò non è accaduto. In Italia, liberalizzando le frequenze per il mondo dell’industria, si permetterebbe invece a una casa automobilistica o a una casa di moda o a un’azienda manifatturiera di avere la propria bolla 5G. Faccio un esempio di use-case, ovvero l’automazione di siti produttivi e logistici. Oggi in Italia, visto che non ci sono frequenze dedicate all’industria, occorre chiedere a un operatore mobile di fare l’operazione assieme. In Germania l’interporto di Amburgo si dota, invece, di una propria core network, che abilita le use case 5G.

E per la telemedicina che oggi ha grandi possibilità di sviluppo?

C’è una domanda potenziale dentro gli ospedali dato che le soluzioni innovative di telemedicina abilitate dal 5G sono ormai in una fase di sviluppo e consentirebbero un importante efficientamento della gestione del sistema ospedaliero/sanitario. Il 5G permette, infatti, di monitorare da remoto i parametri pre e post operazione. L’azienda ospedaliera, se dotata di soluzioni 5G potrebbe operare attraverso la core network ed essere più efficace ed efficiente. Oggi deve, invece, accordarsi con gli operatori di tlc per realizzare gli use-case. Si tratta di investimenti che si recuperano in circa 10 anni mentre gli operatori italiani hanno problemi contingenti.

In passato vendor come Zte hanno parlato di realizzare lo smart stadio anche in Italia, ma ancora l’applicazione non si è vista, come mai?

Nel campo dell’intrattenimento gli stadi italiani o arene hanno un livello di connettività bassa mentre negli Usa, dove Bai vanta la copertura di oltre 200 arene sportive e di intrattenimento, si riesce a garantire 50 megabit al secondo per ogni spettatore. Anche in questo campo, come negli altri use-case del 5G, si tratta di ingenti investimenti; per lo Stadio Olimpico di Roma occorrerebbero 7-8 milioni che si ammortizzerebbero in 10-15 anni. Oggi gli operatori sono poco disposti a pagare affitti alti per questo tipo di infrastrutture sempre per un problema di disponibilità economica.

Come si può risolvere questo problema?

In Italia è necessario canalizzare opportunamente le risorse rese disponibili dal Pnrr, oltre a favorire gli investimenti privati delle TowerCo, o a quelli dei nuovi player focalizzati sulla densificazione come Bai.

Quanto potete investire in Italia?

Il piano industriale prevede 500 milioni di euro in 5 anni, ma vorremmo arrivare molto prima a impiegare questa cifra. In generale, non abbiamo vincolo agli investimenti, il nostro azionista è il Fondo Pensione Canadese (CPPIB) che gestisce oltre 530 miliardi di dollari di asset. Il problema è poi come remunerare gli investimenti. Il progetto che abbiamo annunciato a Roma, di partenariato pubblico-privato, è un esempio che andrà a gara che noi ci auguriamo di vincere. E’ un segno di convinzione e determinazione dell’amministrazione comunale. Al di là delle opportunità che si aprono nel pubblico, l’Italia è un Paese che ha dei verticali industriali tra i più dinamici al mondo, come la farmaceutica, il tessile, la ceramica, ma bisogna convogliare le risorse di sistema pubbliche e private su poche iniziative abilitanti lo sviluppo del digitale, tra cui la densificazione.Le small cell tecnicamente risolvono il problema e facilitano il ruolo attivo di chi possiede le frequenze 5G. Ovviamente gli investimenti privati devono essere remunerati e la formula del PPP che abbiamo presentato va proprio in questa direzione.Ci sono dunque due passaggi per sbloccare l’impasse degli investimenti: serve chi finanzia, un enabler, e chi realizza le infrastrutture e noi su questo fronte ci siamo. Il secondo passo è collaborare con gli operatori che possiedono le frequenze. C’è, però, un ambito in cui il confronto fra i provider di infrastruttura e l’operatore è molto vivo, ovvero le emissioni elettromagnetiche legate al 5G. Gli operatori, per ridurre gli investimenti necessari alla nuova infrastruttura 5G chiedono l’innalzamento dei limiti di emissione elettromagnetica delle infrastrutture esistenti; soluzione non ben vista dall’opinione pubblica.L’architettura di small cell, come quella proposta per Roma, risolve il trade off tra la salute del cittadino e lo sviluppo del 5G, mantenendo i limiti di emissione elettromagnetica bassi. Inoltre, la mostra 5G per Roma prevede sonde del livello di inquinamento elettromagnetico che il cittadino potrà controllare da solo.

Vi ponete dunque come concorrenti di Inwit e Cellnex?

Sì, anche Inwit e Cellnex fanno coperture di densificazione, ma il loro core business è quello delle torri macro. Nel mondo delle antenne micro, anche loro tendono a ritardare gli investimenti in densificazione, ma l’innovazione tecnologica derivante dal 5G è un percorso inarrestabile ed impellente se vogliamo che il nostro Paese colmi il gap con gli altri Paesi europei. Il futuro è negli use-case 5G che hanno bisogno di densificazione in piena sicurezza per la salute pubblica. Si potrebbe realizzare la densificazione 5G di tutto il Paese a partire dalle grandi città e in tutte le aree di sviluppo industriale, come i distretti tutelando la salute dei cittadini e al contempo abilitando lo sviluppo tecnologico del Paese. Su questo tema servirebbe una politica di sistema che coinvolga ambiente, industria, infrastrutture e innovazione.

Volete replicare il modello di Roma?

Siamo partiti da Roma, che ha una esigenza di presentarsi ai grandi appuntamenti del prossimo futuro, come il Giubileo 2025 e la candidatura ad Expo 2030, e ora guardiamo anche al Sud: Napoli, Palermo, Bari sono tutte città con un potenziale incredibile per lo sviluppo del turismo, industria e inclusione economica.

Avete bisogno di acquisizioni per realizzare i progetti?

Siamo sempre pronti a valutare le opportunità che potrebbero presentarsi sul mercato, ma nel breve siamo focalizzati sullo sviluppo di un ecosistema di partner: fornitori di fibra, vendor di tecnologia, service provider e, perché no, anche di di TowerCo tradizionali; in quest’ultimo caso si chiama coopetion, su alcuni elementi competiamo, su altri cooperiamo.

Quante persone lavorano per voi in Italia?

Ad oggi in Italia, senza considerare quanti lavorano ai progetti dalle altre sedi, sono circa 20-25 persone. Nei nostri piani c’è quello di raddoppiare il personale ogni sei mesi.

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